Quando nel 1492 Cristoforo Colombo attraccò sulle spiagge dell’America Centrale credette fermamente di essere arrivato in India: entrò in contatto con le popolazioni locali e con i prodotti di quella terra sconosciuta che, riportati poi nel vecchio continente, hanno assunto nomi evocativi come quello che ancora oggi porta il frutto dell’Opuntia ficus-indica.

La coltivazione dei fichi d’india era praticata in Messico già da lungo tempo: se ne hanno notizie dalle cronache dei conquistatori spagnoli e dai codici delle popolazioni mesoamericane, in particolare dagli Aztechi che scelsero come emblema della loro capitale, Tenochtitlán, un’aquila che sormontava una pianta di fico d’india. Ancora oggi, la stessa aquila troneggia sulle bandiere messicane a simboleggiare la vittoria del bene sul male. Nel 1493 fu proprio Cristoforo Colombo a portare il fico d’india in Europa, dove trovò un clima favorevole nell’area mediterranea. La pianta venne anche sfruttata per la riproduzione della cocciniglia da carminio, insetto infestante da cui si estrae il pregiato pigmento. La sua affermazione in tutto il Mediterraneo e nei paesi dai climi temperati si deve anche ai marinai che trasportavano le piante sulle navi e utilizzavano i frutti come efficace rimedio per lo scorbuto.

Non esiste una zona del Mediterraneo in cui la pianta di fico d’india si sia diffusa più che in Sicilia. In questo lembo di terra dove i venti del Mediterraneo portano l’aria salmastra nell’entroterra e il sole riscalda la terra lavica, il fico è diventato un vero simbolo dell’identità siciliana: modella il paesaggio, protegge dai venti e preserva il territorio dall’erosione. La presenza della coltivazione estensiva sull’isola è secolare: ne dà già testimonianza, nel XVI, il Cardinale Pietro Bembo nel suo De Aetna, diario di viaggio che racconta la sua permanenza in Sicilia, oltre ai molti manuali e articoli di agrotecnica che illustrano l’impianto del fico d’india con il fine di dissodare il terreno lavico e arido della zona coltivata dell’Etna.  Proprio grazie l’altissima capacità di adattamento ai climi semi-aridi e alla potenza delle radici che riescono a dissodare i terreni vulcanici, il fico d’india si è diffuso nella zona dell’Etna diventando una coltura di qualità pregiatissima, nonché la prima a ricevere il riconoscimento di Denominazione di Origine Protetta nel 2003 con il nome di Fico d’india dell’Etna D.O.P. Il fico d’India in Sicilia cresce perfino sui tetti delle case. È un simbolo di identità locale, territoriale, porta con sé il DNA dell’Isola per come ne caratterizza il paesaggio, in dolce contrasto con le coste di roccia vulcanica. Il frutto che per conformazione spiega meglio di ogni altro cosa significa vivere in Sicilia: assaporare estreme dolcezze, ingoiare spigolosità difficili da digerire, affrontare le spine per non averne paura. I fichi d’India, gialli, rossi e bianchi, s’incontrano lungo ogni contorta strada siciliana, abbarbicati a “pale” ostili e immobili, tocco d’autore in un quadro naif.

LA RACCOLTA

Una pesante tuta cerata, da indossare anche sotto il sole cocente, con 40 gradi all’ombra, spessi guanti larghi, coltello in mano e pinzetta al collo come un ciondolo, gioiello indispensabile per tirar via le punture più fastidiose, i raccoglitori di fichi d’india sono una categoria a sé.

PUNTO  DI  VISTA NUTRIZIONALE

Dal punto di vista nutrizionale, i fichi d’india sono un vero concentrato di energia e benessere. Con un apporto calorico moderato derivante dalla discreta quantità di fruttosio presente nella polpa, sono una perfetta merenda per resistere alla calura di fine estate: sono composti per più dell’80% da acqua e presentano un alto contenuto in minerali (ferro, potassio, magnesio, calcio e fosforo) e vitamine (A, gruppo B e C). Proprio la presenza rilevante di minerali rende questi frutti un ottimo coadiuvante per la cura dell’osteoporosi, mentre l’altissimo contenuto di fibre aiuta a mantenere sotto controllo i livelli di colesterolo e a favorire il transito intestinale.

Studi recenti condotti sul frutto hanno dimostrato le proprietà benefiche dei pigmenti naturali che ne colorano la polpa: le betalaine. Presenti anche nei fiori (utilizzabili per decotti e tisane), le betalainesi dividono in due categorie: le betacianine, portatrici del colore rosso, e le più rare betaxantine che danno, invece, un colore giallo-arancio. Le betalaine hanno mostrato sin dai primi studi condotti una notevole attività antiossidante e antinfiammatoria. In particolare, quelle presenti nei fichi d’india vengono immediatamente assorbite dall’intestino umano ed entrano direttamente nel circolo sanguigno arricchendo le lipoproteine a bassa densità (LDL), il cosiddetto colesterolo cattivo, evitandone l’ossidazione dovuta all’esposizione ai radicali liberi.

IN CUCINA

I fichi d’india sono ottimi da gustare freschi, assaporando a pieno il gusto della Sicilia. Per conoscere gli usi più comuni del frutto in cucina basta rifarsi alla cucina siciliana per scoprire ricette tradizionali come marmellate, liquori, granite e mostarde. Ma i fichi d’india sono perfetti per dare un tocco fresco ed esotico ad altre numerose ricette.

Le preparazioni  sono numerosi dalle confetture , ai dolci senza tralasciare antipasti , primi piatti e secondi piatti a base di carne e pesce.